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IL LINGUAGGIO
Ad aprile abbiamo pensato di infilarci in un ginepraio ! Nel senso che abbiamo scelto un argomento molto gettonato, ma difficilissimo da trattare in un breve articolo...pena eccessive semplificazioni. Dato, però, che cerchiamo di dare una risposta ai vostri interrogativi più “caldi”, abbiamo voluto accontentare chi non ha avuto occasione di partecipare quest'autunno all'incontro in asilo su questo argomento e cerchiamo di darvi alcune informazioni di base. Libri specifici e sufficientemente ampi ma non rivolti solo agli specialisti non ne abbiamo individuati, così in asilo abbiamo creato un “vademecum” scritto da noi (di cui questo articolo è un breve riassunto), che sarà a disposizione su richiesta dei “nostri” genitori. Andiamo a incominciare ! Nell'essere umano la base per l'acquisizione del linguaggio è indubbiamente innata e di tipo fisiologico. Esistono però prove ben precise (ad esempio ricavate da situazioni di deprivazione) che dimostrano che per lo sviluppo della comunicazione è fondamentale anche lo stimolo sociale: la comunicazione nasce dalla relazione. Già dalla nascita il bambino intraprende una strada che lo porterà alla scoperta della comunicazione e poi della comunicazione verbale. Il neonato, infatti, è geneticamente programmato per prestare attenzione prevalentemente agli stimoli sociali, in un processo di reciproco modellamento: da parte del bambino sull'adulto di riferimento e da parte dell'adulto di riferimento sul bambino. Alla nascita il bambino mette in atto alcuni comportamenti che fanno parte di un suo repertorio innato: piange, muove gambe e braccia, emette altri suoni come lamenti, versetti, gorgoglii. Il mondo umano attorno a lui reagisce a questi comportamenti: lo prende in braccio, lo coccola, lo nutre, gli parla e tutto ciò acquisisce gradualmente un significato per il bambino: la sequenza azione del bambino-reazione dell'adulto si consolida, divenendo ben presto prevedibile. Il bambino tende a ripetere proprio quei gesti e quei suoni che provocano la reazione attesa e desiderata; allo stesso modo l'adulto tende a ripetere i gesti che attivano l'attenzione del bambino e che provocano risposte desiderate (come il sorriso). Prima ancora che con la parola, si viene a creare tra il bambino e l'adulto che si occupa di lui un vero e proprio dialogo fatto di un'alternanza di azioni in cui l'adulto si inserisce negli spazi lasciati vuoti dall'azione del bambino (gli esperti la chiamano protoconversazione). È molto importante, già in una fase così precoce, che l'adulto sia “in ascolto” del bambino e che la sua azione si inserisca in questo dialogo, evitando sia di agire come se fosse un monologo (parole e azioni sono tutte della mamma e al bambino non è dato il tempo di rispondere) sia di non reagire alle azioni del bambino (lasciandole cadere nel vuoto e nel silenzio). Gradualmente, dunque, il bambino coglie significati nel suono, decidendo quali suoni gli interessano e quali ignorare e ben presto lui stesso arricchisce il repertorio dei primi suoni che spontaneamente ha prodotto. Le madri e gli adulti tendono spontaneamente e involontariamente a rivolgersi ai bambini molto piccoli con un modo di parlare definito dagli esperti “motherese” o baby talk tipicamente semplice, ripetitivo, molto “interattivo” (ricco di domande dirette e imperativi), centrato sul qui ed ora (argomenti concreti legati al contesto in cui è prodotto e tempi al presente). Le tonalità sono spesso alte ed enfatiche, una specie di caricatura del linguaggio tra adulti. Le parole chiave della frase, in genere il nome, vengono enfatizzate e spesso utilizzate più volte in frasi immediatamente successive collegate alla principale (“questo è un camion” “guarda il camion” “dove va il camion?”). Nel corso del primo mese di vita il neonato produce vocalizzi, di solito immediatamente precedenti il pianto. Gradualmente nel corso del secondo mese questi suoni vengono prodotti separatamente dal pianto, quando il bambino si trova in uno stato di benessere, e intorno ai 5-6 mesi l'adulto può inserirsi nelle pause ripetendo i suoi vocalizzi e sollecitando così la proto-conversazione, fatta di un'alternanza di vocalizzi e di pause. Ben presto si potrà osservare che la voce materna è più efficace nell'avviare e mantenere la “conversazione” rispetto a quella di un estraneo. Se i primi suoni sono innati e vengono prodotti in modo simile in qualunque cultura e qualunque sia la lingua a cui i bambini vengono esposti, successivamente si nota l'importanza del feed-back sonoro che riceve (i bambini sordi si differenziano infatti dai bambini udenti) e verso i 6-7 mesi la produzione si differenzia a seconda della lingua parlata nell'ambiente. Gradualmente questi suoni si modificano fino ad assumere una forma costante, dapprima singola e poi ripetuta (per i bambini esposti all'italiano o all'inglese o al russo ba-ba, da-da-da, mentre per quelli esposti al cinese una ripetizione di suoni vocalici differenziati per toni), infine variata (ba-da, pa-da-pa). Si parla di lallazione. Dalle sue azioni e dal suo sguardo possiamo renderci conto del fatto che il bambino comprende già alcune parole (ad esempio perchè nominiamo un oggetto o una persona e il bambino lo guarda), ma inizialmente non c'è consapevolezza comunicativa, il bambino non ha ancora compreso la possibilità di comunicare. La comprensione del linguaggio precede di molto la produzione a tutte le età di sviluppo e anche nella vita adulta, cioè l'individuo comprende molte più parole di quante ne produce. Il gesto sarà generalmente la prima forma comunicativa, pur con molte differenze individuali. È importante attribuire significato anche alle comunicazioni gestuali, che integrano e arricchiscono l'opportunità comunicativa del bambino, almeno fino a quando la componente verbale non sia sufficientemente sviluppata. La comparsa di gesti o parole è inizialmente molto dipendente dal contesto in cui avviene la comunicazione. Si manifesta inoltre in modo differente a seconda del carattere del bambino e della reazione del contesto famigliare. Uno stile genitoriale molto direttivo (“non si dice tuu, si dice treno, dillo bene”; “atte? Non capisco, cosa vuoi?”) non incentiva lo sviluppo del linguaggio quanto uno stile “centrato sul bambino”, nel quale l'adulto riprende ciò che il bambino dice, lo interpreta, ne amplia ed arricchisce l'informazione (“tuu? Sì, il treno, fa tuu, guarda come è veloce!”; “atte? Vuoi il latte? Il latte è buono, ma attento perchè scotta”) . Attraverso la risposta delle persone attorno a lui il bambino capisce che determinati gesti o suoni possono permettergli di raggiungere uno scopo, scopre così la valenza della comunicazione (ad es. il bambino vede un oggetto fuori dalla sua portata e tende inutilmente la mano per raggiungerlo, l'adulto segue il gesto e porge l'oggetto al bambino; successivamente il bambino tenderà la mano non più nel tentativo di raggiungere l'oggetto quanto con valenza comunicativa per l'adulto: “prendimelo”). A partire dall'anno di vita il bambino inizia ad utilizzare singole parole in circostanze appropriate, successivamente compare la fase del piccolo linguaggio: il bambino produce alcune parole (talvolta storpiate) e una varietà di suoni modulati che sembrano creare veri e propri “discorsi”. Siamo nell'ambito di una prima comunicazione, il cui scopo è spesso soprattutto quello di attirare e mantenere l'attenzione dell'adulto. Il gesto e la parola passano dall'essere prodotte in presenza dell'oggetto o dell'azione a cui si riferiscono (dice papà mentre si dirige verso di lui, fa ciao con la mano quando qualcuno esce dalla porta) ad essere decontestualizzate, cioè prodotte in assenza dell'oggetto o dell'azione per ricordarli o anticiparli (dice papà ricordando il gioco fatto poco prima con lui, fa ciao con la mano per dichiarare che vuole andare via). Infine, possono essere applicati a oggetti o situazioni nuove (papà riferito ad altre figure maschili, fa ciao quando qualcuno porta via un oggetto). Dagli oggetti (prime parole prodotte) il bambino passa anche ad arricchire il suo vocabolario con altri tipi di parole, ad esempio i verbi. Contemporaneamente la singola parola acquisisce il significato di una intera frase (olofrase) ad esempio “nonna” può significare “sono della nonna” se indica le ciabatte, “andiamo dalla nonna” quando indica la porta, “telefoniamo alla nonna” quando prende il telefono. Il ruolo dell'adulto sarà quello di espandere le produzioni infantili verbalizzando la frase completa. Poco prima dei due anni il bambino inizia ad abbinare due o più parole per formare le prime vere frasi. In realtà alcuni iniziano anche prima con quelle che possono sembrare frasi, ma che il bambino ha acquisito come un'entità unica, una sorta di frase fatta e possono pertanto essere considerate a tutti gli effetti come singole parole anche se composte da due o più parti: “no pace” (non mi piace), “ecco mamma”, “a tavola”. Alcune curiosità:
Concludiamo questa incursione nel mondo del linguaggio suggerendo che se avete dei dubbi sullo sviluppo linguistico/comunicativo del vostro bambino è bene che approfondiate l'argomento con chi può aiutarvi. Se il bambino frequenta un nido o una materna con personale preparato chiedete un parere a loro, altrimenti rivolgetevi senza timore ad un logopedista o ad un neuropsichiatra infantile: senza indagini invasive sapranno rassicurarvi o indirizzarvi, se opportuno, verso il giusto modo di aiutare il vostro bambino. Sperando di esservi stati utili, vi auguriamo...buone chiacchierate ! |